“Io” è una membrana sensibile al vento

Cosa c’entra la poesia con l’intersoggettività?

Osservare, riportare qualcosa in superficie, lasciare che veda nuova luce. 

Fare spazio e darne altro, generare nuove sponde. 

La poesia come ascolto generativo, nutrimento e gemmazione. La parola assaggia e assorbe dal proprio io e da quello di altri, pochi o molti, uguali o diversi. 

Una moltitudine ci chiama a testimoniare. L’io di chi scrive risuona come neuroni specchio tra le rime e fa parlare gli altri io.

Rimbaud affermava che “Io è un Altro”, “Io è” e non “io sono”: la soggettività in quanto tale veniva messa in discussione da poeta, era quasi negata.

Ma se ci concediamo il lusso di perdere un po’ della nostra riva e accettiamo il mare aperto, ecco che quella spersonalizzazione diviene preziosa.

Dire “Io è un Altro” significa ammettere che ogni individualità è abitata da altre alterità che, oltre la sensazione di assedio e frammentazione, può nutrire.

L’origine del soggetto non è l’interiorità, bensì l’esteriorità, il contatto costante che l’Io ha con l’Altro e tutti quegli incontri, si stratificano e formano l’identità stessa del soggetto.

L’Io non è un nucleo definito, ma apertura, che si origina grazie all’esistenza e presenza dell’Altro.
“L’Io è un oggetto fatto come una cipolla: lo si potrebbe pelare e si troverebbero le identificazioni successive che lo hanno costituito” scrive lo psicanalista Lacan.

Il soggetto è costituito da identificazioni progressive, da immagini in cui l’io si proietta.

Non perdizione o spaesamento, non disgregazione o negazione, dunque, ma arricchimento e complessità, integrazione.

La poesia si fa membrana molle e sensibile che ci permette di vibrare con l’esistente: dal vento che muove le foglie e
parla la sua lingua silenziosa, all’essere umano che ci sta davanti con tutta la sua mole corporea e il suo bagaglio di informazioni genetiche, spirituali e molto altro.

Occorre coraggio e tenacia per “coevolvere nell’istante” per citare Franco Bolelli, accogliendo l’altro come specchio e, non solo, attivatore di mondi ulteriori in noi.

Bisogna scegliere di esserci, essere presenti a se stessi e all’oltre noi stessi, la nostra natura ci predispone a questo.
Da qui la civiltà della poesia, la possibilità della sua intersoggettività, della sua umanità.

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